È così che, nonostante il sole, il cielo azzurro, la tranquillità del sabato pomeriggio, mi sveglio con l’animo inquieto, quasi arrabbiato. Ho dormito tanto, ma il mio non è stato un sonno profondo e riposante, un grosso cane nero mi ha inseguito per ore, fin quando, esausto, mi sono fermato, e lui, saltandomi addosso, ne ha approfittato per sbranare le mie carni.
Potevo percepirli come reali i suoi denti aguzzi che affondavano nel mio corpo, il dolore della carne strappata via fino all’ultimo brandello, mentre il sangue si disperdeva ovunque, dalle fauci del cane, su tutto il suo pelo nero, per terra. Ho vissuto ogni morso come fosse reale, fin quando di me non c’è rimasto che una parvenza di scheletro, poi mi sono svegliato. È stato terribile, penso adesso che sono tornato alla realtà, almeno quanto la mia vita con te.
È così che, nel primo pomeriggio che segue il mio risveglio, associandoti a quel terribile sogno, ti penso nuovamente, cane nero che m’insegue, che brama di strappar via dal mio corpo l’ultima parvenza d’amore, di passione, di desiderio, vita. No, non mi fermerò esausto ad attendere il tuo colpo di zampa, i tuoi artigli, i denti ben affilati, pronti ad azzannarmi. No, non ti ciberai di me come hai fatto in passato, rubando tutto ciò che avevo, tutto quello che potevo e avrei potuto donare. No, non mi avrai, che se c’è qualcosa di unico e vero, in tutta questa storia di vita sulla terra, è quel muro che ho innalzato intorno a me, per difendermi da te.
Adesso, davanti ai mattoni spogli, grigi, che ho accuratamente sistemato l’uno sull’altro, in maniera ordinata e precisa, latra quanto vuoi, accanisciti, piscia a segnare il tuo territorio, esaurisci le tue energie, fin quando non avrai offerto a me, l’ultimo tuo rantolo di vita.