Sulle tracce di un qualcosa che ho perso e da secoli non riesco più a ritrovare. Un lago circondato da una corona d’erba fresca, fruscio di canneti, passeggiate nella notte, luoghi sperduti in campagne lontane, dove in mezzo a colline, tramonti, profumi primaverili, si srotolavano, su strade poco battute, pensieri, riflessioni, idili sentimentali, che si estendevano oltre il limite della mia stessa comprensione, mente giovane e fragile ancora in costruzione.
Capire e non capire, salti tra il conosciuto e l’oscurità, se vogliamo il fascino, l’erotismo, delle cose non ancora scoperte, intuite forse, nel loro effimero esistere, nel loro perpetuo nascondersi e palesarsi, al di là dei piccoli squarci praticati casualmente sul sipario della realtà, dalle mie giovani mani.
Di questo vado cercando, spesso, in mattini come questo, dove il sole e l’azzurro del cielo, fanno da sfondo a un mondo incredibilmente perfetto. Armato di un coltello, vado a esplorare, a tentar di praticare un taglio sul velo di realtà che circonda il mio mondo, cercando di guardare al di là, cercando di trovare la maglia debole del catenaccio che mi imprigiona.
Niente da fare, non ci riesco, rimango ad osservare il mio mondo, fatto di presente e passato, oscurità del futuro, sogni, pensieri, riflessioni, costrutti mentali. Approfitto piuttosto della scrittura per compiere operazioni di questo tipo, balzi al di là di quel che riesco a comprendere, che reali possono sembrare, a chi legge, ma che nella realtà, si limitano ad essere dell’inchiostro su carta, immagini mentali lievemente sfocate, tutto, niente.
Livia è in giardino, ed io so che lei, in questo momento, si trova oltre quel sipario, là dove io non posso più andare, se non attraverso miserabili escamotage, trucchi da prestigiatore, fughe alla Houdini, una tuba, una tortora, e poi niente, l’applauso di chi legge, forse, dopo il silenzio della lettura, nell’attesa incerta di scoprire il mio mistero, e poi, sipario.