Ho tentato una nuova e audace impresa, questa mattina, esplorando libri che non aprivo da secoli, parole lette chissà quando e smarrite nella mia memoria, scritti antichi persi tra scartoffie burocratiche, disegnini e cose di poco conto, parti di me sepolte da tempo, riesumate in questo primo maggio, allo sfumare della notte di Valpurga, all’estinguersi lento dei canti intonati per salutare ed onorare un’altra primavera.
Un violino stonato riempiva il silenzio, quando, la mano titubante, ho girato il pomello della porta e sono uscito fuori, entrando definitivamente dentro ai miei scritti, alle mie parole, alle immagini create tanto tempo fa per me e per una te, della quale non ricordo più niente, della quale certamente, non ricordi più niente nemmeno tu.
È stato terribile, leggermi, leggerti, leggerci, come ascoltare il gracchiare di una cornacchia, il battere della forchetta su un piatto in porcellana, il fischio provocato dal dito appena bagnato, che rotea sul bordo di un bicchiere di cristallo, lo stridere di unghie che graffiano una superficie di metallo, il suono della tua voce.
Un viaggio durato poco, fortunatamente. Scappato da quel mondo, la porta sbattuta alle mie spalle, il violino stonato a salutare il mio ritorno, i nervi a fior di pelle, ho dovuto bere un bicchiere di whisky per riprendermi, per risollevarmi il morale, tanto possono essere drammatici alcuni orrori nascosti tra le pieghe del tempo.
Adesso sono qui, davanti al caminetto, un fuoco scoppiettante profumato di lavanda e ginestre, brilla e accoglie quei fogli, quegli scritti vecchi millenni, quelle parole offerte in passato, quei ricordi di tempi che furono e che non sono più, quelle parti di me donate in albe lontane e delle quali, in questo giorno di rinascita, riprendo possesso.
Adesso sono qui, sorrido al futuro, bevo un altro sorso di whisky e ripenso ai cantori che nella notte tra il trenta aprile e il primo maggio, venivano a bussare alla porta della nostra cascina cantando: “È qui il ridente maggio, è qui quel nobil mese, che sveglia ad alte imprese i nostri cuor…”.