Angoscia, frustrazione, smania, crescono in me, mentre sono incastrato nel traffico cittadino, auto, auto, auto e poi, un cane sporco, magro, pelo irsuto, sguardo triste, che nell’attraversar la strada, quasi si fa schiacciare, uccidere, da un camion, targa ungherese, conduttore distratto, il suono sordo del suo clacson a farmi sussultare, a svegliare mia figlia, addormentata sul sedile posteriore, un’ultima carezza ai sogni prima di entrare a scuola.
Radio spenta, finestrini chiusi, e nonostante tutto, rumore, rumore, solo rumore, ovunque, claustrofobiche realtà, l’auto a guadagnare un metro in più ogni cinque minuti, nuvolette di fumo nere che fuoriescono dai tubi di scappamento, il positivismo, fatto a brandelli, che si rispecchia in una busta di plastica spinta dal vento e rimasta impigliata ai rami ancora spogli di un Platano, nella sporcizia accumulatasi un po’ ovunque ai lati della strada, nello sguardo di un clochard che bussa al mio vetro, qualche spicciolo, una sigaretta, la sua richiesta, il mio alzar le mani, quasi a scusarmi, visto che non ho contanti, che ho smesso di fumare, la mia risposta. Sfortunati entrambi.
Osservo Livia dallo specchietto retrovisore, si stropiccia gli occhi, per qualche secondo si guarda intorno spaesata poi, le sue pupille incontrano le mie, sorride, le sorrido di riflesso, l’angoscia scompare, il battito del cuore rallenta. Lei chiude le palpebre, si lascia andare ancora a qualche minuto di sonno, io resto a guardarla, piccolo mondo antico e moderno allo stesso tempo, le mie speranze riposte in lei, nei suoi coetanei, nel ragazzino fermo, il manubrio del monopattino stretto tra le mani, vicino al cane sporco, che compiuto l’immane sforzo di attraversare la strada, si è sdraiato sull’erba di un’aiuola.
Il giovane, appoggiato il suo mezzo a una siepe, apre lo zainetto e un attimo dopo, la mano a conchino, prova a dare un po’ d’acqua all’animale affaticato, anche lui spaesato, la confusione del traffico a confondere la sua cagnesca percezione del mondo, dello spazio, del tempo e forse, dell’esistenza stessa.
Il clacson dell’auto dietro di me, mi distrae dalla scena, Livia spalanca nuovamente gli occhi. Qualche altro metro e guadagnerò il parcheggio della scuola e poi, magari anch’io mi riposerò disteso sull’erba di un aiuola.