Un violino che suona, virtuosismi del vicinato, rose bianche appena fiorite, questo il mio mattino, operazioni banali, routine normali, e dietro la patina sbiadita, il grigiore che avvolge ciò che deve esser fatto, l’inaspettata, rinnovata, follia, il bello che si palesa, s’impone, vince sul mondo e su di me, mi sfonda il cuore, e il dire perde di senso, non ha scopo, l’archetto che scivola veloce, crini di cavallo e corde ad accarezzarsi, suoni, zig-zag mentali, un pensiero che nasce dentro me e scivola via, tra una pausa e l’altra del misterioso artista, creatore, violinista, il gatto dei vicini che passeggia sulla ringhiera del suo terrazzo, a prepararsi per il salto, l’erba del mio giardino ad attenderlo, il tappeto musicale ad accompagnare i suoi passi lenti, quasi si muovesse a tempo, armonia, abbraccio tra muscoli e melodia, una rondine arrivata da chissà quale paradiso, volteggia velocemente intorno al salice piangente, si avvicina al fico, esplora il ciliegio e poi, così come è comparsa, scompare nel nulla, miraggio di primavera trasformatasi già, da qualche giorno, in torrida estate, ondate di caldo inaspettate, nove del mattino e già sudo, quasi fosse pomeriggio inoltrato, il sole che, abbandonate le colline dietro Marseille, già alto nel cielo, mi dichiara un’altra guerra, luce strana, riflessi magici, anch’essi in armonia coi suoni del violino, lo sguardo che vaga, a cercar d’individuare da dove giunga la musica, serrande abbassate, a render difficile l’impresa – …poco importa… – penso, la mano che scivola sulla fronte imperlata di sudore, mentre mi sfiora il ricordo di te, che suonavi il violino in maniera magistrale, e il ricordo di me, che ti ascoltavo ininterrottamente per ore, seduto sul divano del tuo salone, esercitazioni, le chiamavi, ma non ho mai capito se fossi tu a far pratica con lo strumento o viceversa lo strumento a far pratica con te, con il tuo modo di violentarlo, gli occhi folli puntati chissà dove, a guardare qualcosa che io non potevo vedere, i movimenti veloci, quasi fossi impazzito, personalità multipla racchiusa in un sol corpo, mingherlino, malaticcio, volto emaciato, lunghi capelli grigi lasciati andare al loro triste destino, scivolare argenteo che ricadeva sulle tue spalle, a raggiungere la parte più bassa della schiena, chiudo gli occhi, ti rivedo per un istante, la giacca sbottonata, la cravatta rigorosamente nera, la camicia bianca, i gemelli d’oro, linee luminose a seguire i movimenti del braccio mentre suonavi, apro gli occhi, la linea luminosa a ricongiungersi con un raggio di sole che s’infrange contro il bicchier d’acqua appoggiato sul tavolino, musica interrotta improvvisamente, il camion dell’immondizia, rumori metallici inaspettati, a distruggere un momento perfetto, odore di resti di cibo in decomposizione, nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.