Cammino su un filo di lana, avanzare lento, traballante, a tratti titubante, procedere antico, da tempo voluto, alle mie spalle ciò che sono stato, forse, ciò che sono, davanti a me, ad attendere, poche risposte agli interrogativi che mi hanno spinto fin qui, molte nuove domande, come sempre, niente di nuovo quindi, nessuna differenza tra ciò che è stato, ciò che è, e i molteplici futuri che silenziosi aspettano il mio arrivo, nell’istante successivo colmo di decisioni e di indecisioni, il segreto dell’esistenza, niente di nuovo quindi, se non il mio fiorire e sfiorire, per poi rifiorire ancora, primavera, estate, autunno, inverno, susseguirsi infinito di stagioni, loop, ripetizione, ripetizione, ripetizione, fucile che non si scarica mai, pallottole identiche, attimi identici, avvolto dal frastuono degli spari, il segreto dell’inesistenza, un vecchio che si trascina per le vie di una città fantasma, ricoperta di notte e di cenere, spingendo un carretto pieno di bottiglie di alcool, nessuna meta di fronte a sé, nessun punto di partenza alle sue spalle, io che lo osservo, in bilico sul filo di lana, una zanzara che si posa sul mio alluce, mi punge, succhia il mio sangue, e poi, sazia, vola via, rossore, prurito, impossibilità di grattarmi, fastidio e banalità a braccetto, io che chiudo le palpebre, respiro, le apro nuovamente, riprendo a camminare, la mia ombra ad accompagnare i miei passi, vigile più di quanto non lo sia io, attenta custode della mia vita che, nella sua oscurità, conserva il mio essere più profondo, il segreto dell’incontro tra esistenza e inesistenza, il ricordo dell’attimo appena scivolato sulla mia pelle, tutto ciò che mi pare di sapere, tutto ciò che mi pare di percepire, tutto ciò che mi pare di pensare, muta osservatrice che con me avanza, coppia surreale dal destino comune, fruscio di un vinile che accompagna il nostro procedere, oltre il prossimo passo, due folaghe che volano via, una talpa che scava nella terra, una falena che sbatte insistentemente contro un lampione acceso, una voce incomprensibile che si spande per tutto l’universo, si perde nella notte, s’infila tra le labbra arrossate del vecchio che, improvvisamente, si ferma, mani che mollano la presa sul carretto, gambe che cedono, corpo che cade, sbatte sui sampietrini, vita che svanisce in un ultimo, delicato respiro, silenzio ad avvolgerlo, solo il mio sguardo ad osservarne la dipartita, un attimo prima di cadere dal filo, fossa comune ad accogliere il mio corpo morto, lapide senza nome, terra a ricoprirmi, metamorfosi repentina, talpa che scava, diretta chissà dove.

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