Tre del mattino, niente luna, niente sonno, io che, avvolto tra le coperte, avvolto tra i miei pensieri, milioni di immagini che si sovrappongono l’una sull’altra, rifletto, medito, mi giro e mi rigiro nel letto, senza trovar pace alcuna, senza trovare rifugio alla mia mente, senza riuscir a raggiungere il meritato riposo, oltre l’ennesimo sbatter di palpebre, il mio cuore che batte forte, respiro affannato, angoscia.

Meglio che mi alzi, meglio che cammini, senza meta, per casa, il buio a circondarmi, fremiti che scendono lungo la mia schiena, antiche sofferenze a opprimermi, dubbi, paure, incertezze, chi non le ha? Mi chiedo, scuotendo la testa, scomparendo tra le ombre della notte, negli angoli bui del salone, passaggio tra il mio inferno e altri milioni di inferni che ancora non ho raggiunto, che ancora non ho visitato.

Due del mattino, niente luna, niente sonno, io che, disteso sul divano, bicchiere in mano, cerco te, cerco me, vago tra i ricordi, con la speranza di trovare una corda per aggrapparmi, evitare di cadere, salvarmi, al limite, impiccarmi, se proprio devo, io che bevo un sorso di vino, un altro sorso, un altro sorso ancora, la mia mano che si apre involontariamente, bicchiere vuoto che cade sul tappeto, rumore sordo.

Meglio che mi alzi, meglio che vada a distendermi sul letto, meglio che provi a trovar riposo altrove, io che mi tiro su, gambe che si trascinano a fatica in direzione della camera, ad ogni passo, un indumento che cade, un’incertezza che si risveglia, una paura che si accende, angosce che divampano nel buio, fuochi, inferni, io che cado a peso morto sul materasso, mi avvolgo tra le coperte, tra i miei pensieri.

Quattro del mattino, niente luna, niente sonno, io che vago nel buio, non uno sbrilluccichio di stella a guidare il mio cammino, ora sono qui, ora sono altrove, salgo, scendo, salto, mi abbasso, inferni, inferni, inferni e poi, ancora inferni, nessun paradiso davanti ai miei occhi, il canto di un uccello che non so identificare, a rompere il silenzio, strillo terribile, io che alzo le mani a coprirmi le orecchie, dolore.

Meglio che torni sul divano, meglio che raccolga il bicchiere caduto, che lo riempia, che beva ancora qualche sorso di vino, meglio che mi lasci andare a questa ennesima notte insonne, meglio che abbracci tutte queste sofferenze antiche, questi dubbi, queste paure, queste incertezze, d’altronde chi non le ha? Mi chiedo, scuotendo la testa, attraversando nuovamente il buio in direzione del divano.

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