Vivevo e lavoravo a Chicago ed ogni mattina per recarmi in laboratorio, passavo davanti all’Enrico Fermi Institute for Nuclear Studies, che qualcuno di voi ricorderà, soprattutto chi non si occupa di Scienza e in particolare di Fisica, per il suo coinvolgimento nel progetto di misurazione delle onde gravitazionali, generate dalla collisione di due buchi neri (progetto che includeva anche il nostro Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), registrate attraverso i due interferometri LIGO e VIRGO, il secondo localizzato in Italia a Cascina (Pisa). Se ne parlò molto nel sedicesimo anno di questo secolo.
L’Enrico Fermi Institute, negli anni in cui lavoravo all’Università di Chicago, era in completa ristrutturazione. Per metà coperto da teli e impalcature, il nuovo palazzo stava lentamente prendendo il posto dell’edificio storico che in passato, tra le sue mura, aveva visto nascere molti premi Nobel della Fisica e accolto quasi tutti gli scienziati coinvolti nel Progetto Manhattan, il programma di ricerca e sviluppo, fondato con lo scopo di realizzare le prime bombe atomiche, durante la seconda guerra mondiale.
Dalla parte opposta della strada, di rimpetto all’edificio, posta nel luogo esatto dove fu costruito il reattore con il quale, gli scienziati del Progetto Manhattan nel quarantadue, generarono la prima reazione nucleare artificiale della storia, sorge a perenne memoria dell’evento, sulle ceneri del vecchio stadio di Baseball dell’università, l’imponente scultura in bronzo realizzata da Henry Moore e nominata appunto Nuclear Energy.
È una scultura strana, se le sue linee sembrano a un primo sguardo morbide e delineano una caricatura distorta di un fungo atomico, il colore del bronzo annerito dal tempo le dona un aspetto tetro. Osservandola da vicino inoltre, a seconda del punto di vista che si sceglie per guardarla, è possibile percepire figure angoscianti al suo interno, ora quella di un teschio, ora quella di occhi persi nel vuoto. Lo scultore celebrò la ricorrenza, mettendo in guardia i passanti e i curiosi, sulle terribili problematiche legate all’evento celebrato. Un paradosso talmente potente che chiunque, anche chi non sa che cosa rappresenti l’opera e sia all’oscuro di cosa sia successo lì, ne può percepire l’oscurità, l’angoscia, la paura.
Il progetto Manhattan si concluse ufficialmente nel quarantasei del vecchio secolo, con tutti i pro e i contro che oggi conosciamo. Ma gli ex-fisici del gruppo, alcuni indubbiamente rimasti sconvolti da quello che il loro lavoro aveva generato, decisero di dare un altro contributo, stavolta più umanistico, se vogliamo, fondando nel quarantacinque, nello stesso edificio, il Bulletin of the Atomic Scientist.
Il bulletin è una rivista non tecnica che tratta tematiche legate alla sicurezza globale e alla politica pubblica, in particolar modo in relazione ai pericoli posti dalle armi nucleari, da armi di distruzione di massa e ultimamente dai cambiamenti climatici. Per descrivere il rischio legato a queste problematiche il Bulletin inventò l’orologio dell’apocalisse (chi legge Watchmen probabilmente ne sa qualcosa), che compare sulla copertina di ogni numero.
La posizione di partenza dell’orologio era all’origine di sette minuti alla mezzanotte, ora dell’apocalisse, e da allora, le sue lancette si spostano in relazione agli eventi ritenuti pericolosi per l’umanità. Dalla sua creazione le lancette sono state spostate ventidue volte. Avanzò di quattro minuti nel quarantanove quando l’URSS effettuò il suo primo test nucleare e tornò indietro di cinque nel sessanta, quando le grandi potenze, cercarono un accordo diplomatico per non entrare in conflitto. Tornò indietro di cinque minuti anche nel sessantatré, quando fu siglato il Partial Test Ban Treaty, sulla messa al bando dei test nucleari e avanzò di cinque minuti durante la guerra nel Vietnam. Indietreggiò ancora di sette minuti quando nel novantuno venne firmato il trattato di riduzione delle armi strategiche, l’URSS si sciolse e la guerra fredda finì. L’orologio all’epoca segnò le undici e quarantatré minuti, le lancette raggiunsero la distanza massima dalla mezzanotte proprio in quel momento.
Da allora, i minuti di vantaggio, di anno in anno, almeno in relazione a questo strumento ipotetico, sono passati e dal ventitré gennaio del duemilaventi le lancette si trovano a cento secondi dalla mezzanotte, meno di un minuto e mezzo. Il continuo riarmo nucleare e la mancanza di azioni da parte delle grandi potenze per contrastare i cambiamenti climatici, ci stanno portando sempre più vicini al tracollo e il virus certamente non aiuta. Tuttavia possiamo sempre fare qualcosa per evitare la fine, riflettiamoci, almeno una volta al giorno, non accettiamo tutto con rassegnazione, facendo finta di niente, mai l’umanità ha così tanto avuto bisogno della partecipazione e dell’impegno di ciascuno dei suoi membri.