Sentii la mancanza di te la mattina in cui mi lasciasti partire da solo. Era un giorno di ottobre, immerso in un autunno come tanti, un autunno come questo. Preparasti la mia valigia con accuratezza e il pranzo a sacco per il viaggio. Sapevi che odiavo tutto questo, soprattutto il preparar la mia roba, ma tu cocciuta come mai nessuna donna è stata, lo facesti lo stesso. Amavi avere almeno la sensazione che sentissi il bisogno del bisogno di te. Eppure, partire insieme sarebbe stato indubbiamente la cosa da fare, ma la tua pigrizia e quel mio non insistere vinsero su quel che avrebbe dovuto essere e non fu.
Sentii la mancanza di te nel momento in cui ci salutammo, alla stazione di quel piccolo paese sperduto chissà dove, perdona la mia memoria, è diventata talmente distorta da non ricordarne più nemmeno il nome; o forse fa solo finta, negligente, pigra, come è diventata in questi ultimi anni. Ci abbracciammo forte, la sensazione di quel calore è rimasta nelle mie cellule, ci baciammo. Fu un bacio di addio e lo sapevamo entrambi, ma facemmo finta di niente, prestando attenzione ad altro, al freddo che ci circondava e alle foglie gialle degli aceri che ricoprivano la campagna. Battemmo i piedi per scaldarci, e ci massaggiammo la schiena a vicenda, mentre il vento intorno a noi soffiava imperterrito, emettendo una sorta di sibilo, come un suono dolce e arrabbiato allo stesso tempo.
Il treno arrivò qualche minuto dopo. Apparve piano in lontananza, puntino minuscolo nella natura e in un attimo fu su di noi, nascondendo il binario di legno e metallo, unica via di andata e ritorno. Prima di salire la scaletta, mi prendesti per un secondo la mano e la stringesti, in un ultimo disperato tentativo, nell’incertezza che separava il seguirmi dal restare e il desiderio di un mio bisogno di te talmente forte, dal rinunciare al resto del mondo.
E in quel secondo, misto al sibilo del vento amalgamato con il freddo, si sciolsero mille pensieri uno per ogni attimo della nostra esistenza. I treni, i viaggi, i volti e le passioni, le certezze, i doveri, le cose importanti da fare e quelle inutili, i pranzi, le cene, i sorrisi, gli abbracci, i baci, i respiri, i battiti del cuore persi nel giallo dell’autunno, scivolo tra estate e inverno, cammino a senso unico della vita.
E in quel secondo di noi, fu un rifletter velocemente nell’indecisione da un lato di scendere, dall’altro di salire, mentre un fischio lontano annunciava la partenza imminente del mezzo. Il finale era già deciso – Allora ciao…ci vediamo presto… – dissi sorridendo, tu mi guardasti negli occhi – Non fare troppe cazzate… – rispondesti scuotendo la testa.
Un attimo dopo le porte si chiusero e il treno scivolò via sulle rotaie. Dall’altra parte del vetro il paesaggio cambiò rapidamente. Il vento si insinuò all’interno del mezzo, attraverso gli infissi resi logori dal tempo e dalle intemperie, bisognosi di nuovo silicone, come certi seni, chirurgicamente malfatti, decadenti, simili a questi ricordi che si sorreggono su pilastri incerti, sempre più deboli: foglie gialle, treni, autunno, sferragliamenti e – …non fare troppe cazzate.